DISTURBI E RITARDI DI LINGUAGGIO
La definizione di disturbo del linguaggio in età evolutiva descrive quadri clinici molto eterogenei tra cui vanno distinti:
- dislalie: disturbi di articolazione causati da anomalie strutturali o funzionali degli organi articolatori (frenulo linguale corto, labiopalatoschisi etc.);
- disturbi del linguaggio secondari cioè associati a deficit neuromotori, sensitivi, cognitivi o relazionali;
- ritardi dell’acquisizione del linguaggio: bambini “parlatori tardivi”, nei quali il linguaggio compare in ritardo rispetto ai coetanei (es: a due anni producono meno di cinquanta parole, a due anni e mezzo non compongono frasi);
- disturbi specifici dello sviluppo linguistico: difficoltà che, in assenza di deficit cognitivi, neuromotori, sensitivi, interessano la produzione, la comprensione verbale, o entrambe e investono la competenza linguistica a vari livelli: fonologico (suoni delle parole), lessicale (ampiezza del vocabolario), morfosintattico, pragmatico.
- disordini e disturbi fonologici: sono difficoltà in cui l’eloquio spontaneo è scarsamente comprensibile; spesso il linguaggio è capito solo dai familiari, anche dopo i tre annidi età, epoca in cui la produzione del bambino dovrebbe risultare comprensibile anche da estranei. Spesso i genitori di bambini con disturbo fonologico riferiscono di riuscire a comprendere ciò che egli dice, ma questo avviene solo perchè hanno imparato ad associare i termini ideosincratici al target corretto, cioè sanno associare alla parola pronunciata dal bambino, il termine corretto.
- disprassia verbale: difficoltà nella programmazione degli atti motori necessari alla produzione linguistica. Inizialmente si manifesta con un’assenza di linguaggio o come disturbo fonologico grave: la difficoltà di co-articolazione e il recupero più lento e difficile rispetto a un disturbo fonologico permettono nel tempo una diagnosi differenziale.
Caratteristica comune a questi disturbi, che si presentano con un’elevata variabilità da bambino a bambino, è la comparsa tardiva delle prime parole eo un linguaggio scarsamente comprensibile dagli estranei a 3 anni.
Anche se una buona percentuale dei bambini cosiddetti “parlatori tardivi” ha un’evoluzione linguistica positiva, essi vanno comunque considerati soggetti a rischio, e possono sviluppare un disturbo specifico di linguaggio e successivamente, dell’apprendimento, con ricadute importanti sul piano emotivo-relazionale.
È dunque necessaria una valutazione precoce e un monitoraggio nel tempo per accertare il perdurare della lentezza o di anomalie nello sviluppo della competenza linguistica.
Un intervento precoce e tempestivo è fondamentale; aiutare un bambino con ritardo di linguaggio gli permette di recuperare prima possibile, evitando che lo spostamento delle acquisizioni si protragga nel tempo, facendo sviluppare al bambino ulteriori difficoltà. Ad esempio, un bambino a 5 anni con un linguaggio espressivo corretto accede a quei ragionamenti metafonologici che costituiscono un importante prerequisito alla letto-scrittura: se il suo linguaggio non è correttamente sviluppato in tutti i suoi aspetti (fonologico, lessicale, morfosintattico, sia incomprensione che in produzione) l’apprendimento di tali difficoltà nerisente, con conseguenti difficoltà negli apprendimenti scolastici futuri.
Gli effetti secondari sul versante emotivo-psicologico sono tanto più presenti quanto più è grave il disturbo del bambino, fino a determinare vere e proprie difficoltà relazionali e di interazione sociale. Un bambino che non riesce a farsi capire vive la frustrazione di “non essere capace”, sperimenta la sua inefficacia e non riesce a farsi comprendere dall’altro e questo può portare a due modalità di interazione: l’isolamento (non sono in grado di esprimermi, di inserirmi in un contesto di gioco, di farmi capire e quindi mi metto da parte, evito di espormi a queste situazioni per non vivere questa frustrazione) o la rabbia (l’aggressività sembra spesso l’unica modalità del bambino per imporsi e farsi valere, oltre al fatto che la rabbia è la naturale conseguenza della difficoltà che il bambino sperimenta).